La divisione ereditaria: assegnazione dei beni (Cass. civ. 9282/2018)

Autunno

Una vicenda successoria, che trae origine da un atto di citazione notificato nel 1961, si sviluppa negli anni in un interminabile rivolo e dedalo di avvenimenti processuali.

Tizio, nel lontano 1961, aveva citato in giudizio i propri fratelli Caio, Sempronio e Mevio, nonché la madre Plinia, per procedere alla formazione e divisione, secondo le norme della successione legittima, della massa ereditaria proveniente dal padre Bruto. Una controparte sosteneva però che la successione andasse regolata da un testamento olografo del 1948, mentre un’altra parte ancora produceva in giudizio una scrittura privata del 1950, con cui le parti transattivamente predisponevano e ripartivano, a suo dire, i beni ereditari. Aderiva a tale testi il Tribunale di Termini Imerese, nonché la Corte d’appello di Palermo, che confermava la pronuncia di primo grado.

Anche la Corte di Cassazione, nel lontano 1969, confermava a sua volta la pronuncia di secondo grado ma il processo avanti il Tribunale di Termini Imerese, dopo la sospensione disposta in pendenza delle impugnazioni sulla sentenza non definitiva, non venne riassunto e si estinse.

Tizio, mai domo, incardinava due nuovi giudizi, tanto contro la madre quanto contro i fratelli; i procedimenti venivano riuniti, più volte interrotti per la morte di tutte le originarie parti del giudizio e più volte riassunti dagli eredi.

A seguito della nuova sentenza di primo grado del Tribunale di Termini Imerese, di appelli ed infine di ricorsi principali ed incidentali, si pronuncia nuovamente la Corte di legittimità, ribadendo un interessante principio di diritto in tema di divisione ereditaria, su cui ci soffermiamo.

Viene rimarcato dalla Cassazione che nella divisione ereditaria, così come nella divisione delle cose in comunione, non è richiesta un’assoluta omogeneità delle porzioni, ben potendosi che nell’ambito di ciascuna categoria di beni da dividere (mobili, immobili, crediti) essi siano assegnati per l’intero ad una quota ed altri, per intero, ad altra quota, fatti salvi i necessari conguagli. Il diritto potestativo dei condividenti all’assegnazione dei beni in natura (se possibile) non corrisponde infatti ad un frazionamento in quote delle singole entità appartenenti a ciascuna categoria, ma alla proporzionale divisione di ciò che è ricompreso nelle categorie stesse.

Da ciò consegue che, ad avviso della Corte di Cassazione, qualora ad esempio vi siano più immobili da dividere, il giudice del merito accerterà se il diritto del condividente sarà meglio tutelato e soddisfatto con il frazionamento delle unità immobiliari o con l’assegnazione degli interi immobili ad ogni condividente, salvo conguaglio.

Viene altresì ribadito come il criterio tecnico per la determinazione del valore venale delle varie quote e dei singoli beni costituenti l’oggetto della divisione, avuto riguardo a natura, ubicazione, consistenza, valori di mercato ed utilizzabilità, rimane appannaggio dell’esclusivo potere valutativo del giudice di merito, che nella quasi totalità dei casi si esplica con l’ausilio di apposita consulenza tecnica d’ufficio.

In aggiunta al breve commento della sentenza, si richiama, per quanto attiene alla determinazione del valore dei beni, la fondamentale distinzione per cui “per la reintegrazione della quota di eredità riservata al legittimario occorre fare riferimento al momento dell’apertura della successione per calcolare il valore dell’asse ereditario, per stabilire l’entità della lesione della legittima e per determinare il valore dell’integrazione spettante al legittimario leso. Pertanto, mentre la lesione della legittima va verificata alla stregua dei valori dei beni al tempo dell’apertura della successione, nel caso in cui ci siano conguagli da attribuire questi vanno commisurati al valore, al momento della divisione, del bene che avrebbe dovuto essere assegnato in natura al non assegnatario, tenendo conto del mutato valore (Cass. civ. 5320/2016).

Ciò facendo applicazione dell’art. 766 c.c..

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