Quali sono i requisiti necessari perché sia legittima la successione a titolo universale nel diritto agrario?

In tema di contratti agrari la successione dell’erede all’affittuario coltivatore diretto nel contratto agrario, di cui era già parte il de cuius, è possibile, sempre che il preteso successore dimostri la ricorrenza delle condizioni richieste dalla legge. Deriva da quanto precede, pertanto, che in caso di contestazione, chi intende subentrare nel rapporto non solo deve dedurre la propria qualità di erede dell’affittuario, del mezzadro, del colono, del compartecipante o del soccidario, ma anche fornire la prova di essere “imprenditore agricolo a titolo principale” (ora qualificato “imprenditore agricolo professionale” dall’art. 1 d.lg. n. 99 del 2004), coltivatore diretto o, ancora, eventualmente, soggetto equiparato ai coltivatori diretti ex art. 7, comma 2, l. n. 203 del 1982 e di avere esercitato e di continuare a esercitare, al momento dell’apertura della successione, attività agricola sui terreni coltivati dal “de cuius” (Cass. 7630/2016).

Il caso concerneva la seguente vicenda: Tizio conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Perugia Caia e la figlia di quest’ultima Sempronia, entrambi eredi di Mevio, ai fini della condanna al rilascio del fondo concesso in affitto a Mevio, attesa la morte di quest’ultimo e il conseguente scioglimento del contratto. Oltre a ciò, Tizio chiedeva il risarcimento dei danni per detenzione abusiva del fondo e appropriazione indebita dei frutti. Il Tribunale adito accoglieva la domanda al rilascio del fondo e la domanda di risarcimento dei danni. Sempronia proponeva appello e, a seguito di rigetto del gravame, ricorso alla Suprema Corte.

Gli Ermellini chiarivano anzitutto, per quanto qui di interesse, che l’applicazione della disposizione della L. 9 maggio 1975, n. 153, art. 12, comma 2 (la quale stabiliva che, ai fini della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale, fosse riservato alle regioni l’accertamento del requisito del reddito e quello inerente al tempo dedicato all’attività agricola dell’imprenditore) fosse funzionale solo ai fini della concessione dei benefici economici previsti dalla stessa legge ma che, per quanto concerne la qualificazione di imprenditore agricolo a titolo principale, fosse necessario che il giudice accertasse nel caso concreto la ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 12 comma 1 della suddetta legge.

Tale disposizione statuisce che “Nel caso di morte del proprietario di fondi rustici condotti o coltivati direttamente da lui o dai suoi familiari, quelli tra gli eredi che, al momento dell’apertura della successione, risultino avere esercitato e continuino ad esercitare su tali fondi attività agricola, in qualità di imprenditori a titolo principale ai sensi della L. 9 maggio 1975, n. 153, art. 12, o di coltivatori diretti, hanno diritto a continuare nella conduzione o coltivazione dei fondi stessi anche per le porzioni ricomprese nelle quote degli altri coeredi e sono considerati affittuari di esse. Il rapporto di affitto che così si instaura tra i coeredi è disciplinato dalle norme della presente legge, con inizio dalla data di apertura della successione”.

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Per costante orientamento giurisprudenziale, la successione dell’erede all’affittuario coltivatore diretto nel contratto agrario di cui era già parte il de cuius è possibile a patto il ricorrente dimostri la sussistenza della condizione stabilite dalla legge. Da ciò consegue che, in caso di contestazione, chi si afferma erede, non solo deve dimostrare la sua qualifica di successore a titolo universale dell’affittuario, del mezzadro, del colono, del compartecipante o del soccidario ma deve anche fornire la prova di essere imprenditore agricolo a titolo principale coltivatore diretto o, ancora, eventualmente, soggetto equiparato ai coltivatori diretti L. n. 203 del 1982, ex art. 7, comma 2 e di avere esercitato e di continuare ad esercitare, al momento dell’apertura della successione, attività agricola sui terreni coltivati dal de cuius.

In conclusione, riteneva la Corte che le prove fornite da Sempronia non fossero idonee a dimostrare la qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale e di concreto esercizio, antecedentemente e successivamente all’apertura della successione, dell’attività agricola sul fondo de quo da parte sua e/o da parte della madre, essendo i documenti dimessi in causa del tutto inidonei e la prova testimoniale articolata inammissibile in ragione della sua estrema genericità.

Il ricorso veniva quindi dichiarato inammissibile.

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